Da tempo sullo stato di salute mentale di Vladimir Putin che durante la pandemia si è praticamente isolato dal mondo esterno limitandosi a impartire ordini in videoconferenza si sono costruite speculazioni e ipotesi di ogni tipo. Con l’invasione dell’Ucraina sono ricominciati gli articoli che lo descrivono come pazzo, malato di cancro e per questo dipendente da farmaci che gli avrebbero tolto lucidità, e moltissime altre tesi peraltro non supportate da documenti specifici. Ma chi è davvero il sessantanovenne Vladimir Vladimirovič Putinex, militare ed ex funzionario del KGB russo, presidente della Federazione Russa? Cosa c’è davvero nella sua testa e cosa ci dobbiamo ancora attenere da lui? Ne parliamo con la dottoressa Cristina Brasi, Psicologa Criminologa ed Analista Comportamentale.
Dottoressa, chi è davvero Vladimir Putin?
«Parliamo di una persona che, per formazione, è in grado di mantenere il controllo nelle situazioni di tensione, un uomo pragmatico, caratterizzato da una grande capacità di lettura delle persone, delle situazioni e atto a interpretare le dinamiche sottese».
Dal punto di vista dell’analisi del linguaggio non verbale, quali dati possiamo estrapolare dalle recenti uscite video di Vladimir Putin?
«Il linguaggio non verbale di Putin, rispetto al passato, ha iniziato a mostrare delle interessanti differenze. Tale analisi si basa sullo studio dei video diffusi dal 24 febbraio al 16 marzo 2022. La postura, in passato sempre eretta, nel periodo a cavallo del 24 febbraio, appariva difatti scomposta, meno formale e controllata, sedeva semidisteso e, nel momento in cui si alzava, tendeva ad allungarsi sul tavolo. In precedenza, lo stato emotivo veniva scaricato nella parte inferiore del corpo, i piedi risultavano in movimento quasi perpetuo, ma sulle mani aveva sempre agito un buon controllo utilizzandole come illustratori, per dare maggiore enfasi e struttura ai contenuti verbali. Nel periodo appena antecedente all’attacco all’Ucraina, è invece capitato di vedere le sue mani tamburellare sul tavolo, segnale di nervosismo, mentre ogni movimento illustratore era stato sostituito con l’incrocio delle dita stesse.
Lo sguardo, nei decenni passati, veniva usato con grande discrezionalità, mostrando attenzione all’auditore, senza però essere mai diretto e troppo intenso, ora mostra invece un disinteresse rispetto ai contenuti degli interlocutori e, nel momento in cui avviene il contatto visivo, questo è diretto e comunicativo. Lo stesso per quanto concerne le microespressioni. Se in precedenza emergeva concentrazione e nessun contenuto di natura aggressiva, con sempre grande rispetto del collocutore, ora sono presenti microespressioni di rabbia e sorrisi di scherno. Nel discorso di mercoledì 16 marzo troviamo altri nuovi elementi. Putin riprende una postura eretta, ma tesa in avanti, continua a muoversi con il busto, le mani sono ferme, ma la destra è chiusa a pugno, elementi non verbali che indicano predisposizione all’attacco. Le microespressioni sono coerenti col contenuto verbale, significando che crede in quanto afferma, le espressioni di dubbio sono difatti legate non a quanto da lui affermato, ma alle perplessità nei confronti dell’Occidente. Il viso meno gonfio potrebbe invece essere un segnale di calo del cortisolo, andando ad inquadrare un assestamento tra la scompensazione rilevata nel periodo dell’attacco, e i tratti temperamentali di controllo che lo caratterizzano».
Diversi analisti comportamentali occidentali ritengono Putin in pieno delirio di onnipotenza. Conferma tali valutazioni o altri processi, come quello di vittimizzazione, stanno guidando le sue scelte e la sua percezione degli eventi?
«È riconosciuto in ambito scientifico come, i disturbi di personalità antisociale e narcisistico, siano presenti in un interessante numero di soggetti che ricoprono cariche di alto livello, sia in ambito politico che economico. Tali caratteristiche risulterebbero addirittura funzionali al sistema in cui operano, al punto che la letteratura scientifica ha coniato per essi il termine “corporate psychopaths”. Però anche la psicopatia, come qualsiasi sistema, evolve e, quando accade, in questi soggetti inizia a prevalere il “temporal discounting”, ossia il preferire l’ottenimento di una ricompensa più piccola, ma immediata, al posto di una più interessante, ma che necessita di attesa. La propensione, fortificata da scelte erronee, porta, come conseguenza, a una propensione al rischio disfunzionale.
Ed è proprio l’abbassamento dell’inibizione a creare il terreno fertile per i deliri, come quello di megalomania, che fornisce la convinzione di essere estremamente importante in quanto dotato di qualità particolari. Nel momento in cui un’azione non porta al risultato prospettato, al fine di mantenere il senso di grandiosità, emergono altre tipologie di delirio che fungono da difesa, quali ad esempio il delirio interpretativo in cui fatti casuali vengono letti come fatti a sé stessi connessi; in questo modo la megalomania non crolla perché ci si percepisce come l’attore principale.
Altro delirio difensivo a supporto di quello di grandezza è quello di persecuzione, che consente l’attivazione del locus comportamentale dell’agency morale, ossia un disimpegno morale che trasforma il comportamento nocivo in uno positivo, legittimando l’utilizzo di mezzi lesivi con un confronto vantaggioso autoassolutorio. Le pratiche di disimpegno oscurano e minimizzano il proprio ruolo nell’agire e nel causare il male, per mezzo di processi dissociativi che distorcono la relazione tra le azioni e gli effetti da essi provocati. Ciò viene legittimato anche dal delirio di rivendicazione, ossia una convinzione delirante di un proprio diritto, ritenuto legittimo, a cui si fa seguito con azioni anche di ordine estremo.
Nel momento in cui però vi è una integrazione dei meccanismi disfunzionali con le caratteristiche temperamentali, ci si trova dinnanzi a quello che viene definito come delirio lucido, caratterizzato da uno stato di vigilanza. La percezione della realtà mantiene il suo carattere di immediatezza e di efficacia rappresentativa. Le categorie logiche, la razionalità e l’intelligenza vengono impiegate nel processo di trasformazione della realtà. Il confronto con gli altri rimane possibile sul piano formale, ma la componente soggettiva è eccessiva portando, come conseguenza, allo stravolgimento dei significati e al sottrarsi dal confronto dialettico».
A suo avviso cosa potrebbe farlo recedere dai suoi propositi?
«Putin è sempre stato consapevole del suo essere carismatico. Nel corso del tempo ha evidenziato anche una buona conoscenza delle diverse culture. Di aiuto potrebbe essere l’interfacciarsi con dei leader a loro volta carismatici, autorevoli e fermi, ciò gli consentirebbe di avere degli interlocutori percepiti come suoi pari, fornendo così un’apertura a un confronto».