La scuola è già iniziata e, con essa anche le problematiche che, ogni anno, puntualmente, gli alunni gifted devono affrontare, portando con sé ansia, frustrazione e depressione.
Per comprendere come si origina codesta situazione problematica, è necessario partire dalle origini, ossia dal come il sistema scuola è impostato. La didattica è, sia in Italia che nel Canton Ticino, strutturata su di un ordine sequenziale, ed ecco l’identificarsi del problema cardine.
Come ben si sa, i gifted hanno un pensiero arborescente e divergente, all’atto pratico significa che, per ogni questione che andranno ad analizzare, seppur ognuno con le proprie caratteristiche intrinseche, lo faranno guardando a 360 gradi tutte le componenti ad essa legate. Un esempio semplice, se il docente di storia parlerà della rivoluzione industriale, sarà ovvio che il discente APC si aspetterà che in geografia sarà trattata l’Inghilterra, in scienze l’invenzione della macchina a vapore, in fisica la termodinamica e via discorrendo. Nella realtà dei fatti, con ogni probabilità, l’insegnante di geografia starà invece erudendo circa l’economia di una particolare regione o cantone che sia, quello di scienze parlerà di mitocondri, ma senza coinvolgere i propri alunni dicendo che, essendo loro a dare l’energia tramite l’ATP (adenosina trifosfato), e che la trasmissione genetica avviene per via femminile, sono le donne a dare energia, creando anche un interludio di scherno tra maschi e femmine, importantissimo per cercare di capire se ci sono tensioni o situazioni particolari in classe, per affrontare l’educazione di genere, finendo poi col dire che neanche gli assassini monozigoti sono irriconoscibili, perché, grazie al DNA mitocondriale riusciamo a capire quale gemello è il colpevole.
Alla fine è tutto qui, è collegare, è aprire la propria mente da docente. Il favore, in tal modo, non sarà fatto unicamente all’alunno gifted, ma sarà fatto alla classe intera perché i bambini o ragazzi che siano, avranno modo di appassionarsi, anche ad argomenti che apparentemente apparirebbero noiosi, lo studio nascerebbe dalla curiosità e sarebbe finalizzato all’apprendimento, anziché essere strettamente correlato all’acquisizione nozionistica che viene persa immediatamente terminata la verifica.
Ci vuole poco, davvero poco per avere una classe partecipe, basterebbe che il docente scendesse dalla cattedra e mettesse al posto del proprio ego, i discenti come protagonisti. A quel punto la scuola non sarebbe più un problema.
2 ottobre 2019